Le origini del Tango in Italia

PUBBLICATO IL 4 Luglio 2012

Tango originiPrologo

Tito era un ex-pugile grosso e, pare, cattivo. Un personaggio a metà tra il compadrito e il malevo, che vive ai margini della legge. Tito era cresciuto a Parque Patricios, il quartiere di Buenos Aires dove il tango e il futbol la fanno da padrone, nel ricordo dell’immenso poeta Homero Manzi e grazie alle gesta della squadra di calcio locale, l’Huracan. Pare che Tito fosse fuggito in Italia perché aveva avuto dei problemi con la polizia argentina. Di certo non a causa della dittatura dei militari. Viveva a Roma e si guadagnava da vivere facendo un po’ il buttafuori presso il locale latino-americano Charango, quando era ancora a piazza Zama, e un po’ “l’esattore” per alcuni cravattari che nella Roma violenta e rackettara degli anni’80 era un mestiere assai diffuso. Tito, vogliono le leggende – mai trascritte – del tango a Roma, fu anche uno tra i primi a insegnare l’arte dei tangueros. Era tanto rude quanto languido, tanto assetato di sesso quanto pronto a menare le mani: un predatore. Lasciò all’improvviso la capitale, secondo alcuni, per fuggire alla vendetta di qualche banda criminale. Oggi Tito vive a L’Avana. Forse. Ma questa è un’altra storia

Secondo alcuni il tango in Italia era già arrivato nei primi anni del ‘900 grazie a un barone di Milano, tale Antonio Mario De Marchi, che vedendolo ballare a Parigi da Casimiro Ain e Enrique Saborido se ne innamorò tentando di portarlo nella sua città. Ma questa storia non è ambientata nella capitale. Venendo ai giorni nostri a Roma, andiamo alla ricerca del così detto “paziente zero”, come in un’indagine epidemiologica. Il primo paziente “portatore sano del virus del tango”, pensando al tango come a una pandemia, un morbo che si diffonde tra le genti, dovrebbe essere – stando alle dichiarazioni dei pionieri del movimento – Eliana Montanari: «Fui “infettata” dalle sonorità emesse da un giovane che cantava il ritornello di un tango, in una carrozza di un treno per Parigi, nel 1985. Ne rimasi folgorata: la successiva visione del film di Fernando Solanas “Tangos: el exil del Gardel” non fece altro che consolidare la mia iniziale infatuazione che “degenerò” ben presto in passione pura per il ballo» e che la portò ad essere presente un tutti i momenti chiave dell’evoluzione del tango a Roma. Dicevamo, 1985. In quell’epoca, a Roma, solo in pochi si erano già avvicinati alla cultura e alla musica tanguera. Nessuno, o quasi, al ballo. L’architetto innovatore Ludovico Quaroni, la scrittrice e musicista Meri Lao, la fotografa amante del Sud America Patrizia Giancotti. Tre nomi, a cui faceva da contraltare il disprezzo, quasi, per il tango, che molti confondevano con il liscio dei Casadei e che evocava ritmi e sonorità del passato, in una fase in cui il paese provava a mettere da parte, senza molto rispetto e convinzione, le “cose vecchie” per abbracciare, tra mille perplessità, il progresso.

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