Retrato de Astor

PUBBLICATO IL 10 Luglio 2012

astor-piazzolla-ritrattoScrivere riguardo l’influenza italiana nel Tango e abbozzare un ritratto di Astor Piazzolla, sul quale già tanti libri e saggi sono stati scritti – data la sua importanza come uno dei più grendi artisti del continente americano – significa per me dipingere anche la mia stessa vita, con tutto l’affetto e la venerazione che ho per lui.

Astor è: Astor Pantaleón Piazzolla Manetti. Lui pronuncia Pantaleón così: Panta-leone, e mi dice che Astor è un nome italiano che originariamente sarebbe Astorre. Vicente, suo padre, glielo ha messo in omaggio a un suo amico e musicista, Astor Bolognini, membro di una famiglia di musicisti. Astor, nasce a Mar del Plata, Provincia di Buenos Aires, Repubblica Argentina, l’11 marzo del 1921 sotto il segno dei Pesci.

Quarant’anni di amicizia fraterna ci hanno uniti. Io ne ho quindici, quando lo conosco, lui ne ha undici più di me. Da lì a breve c’è stata la pubblicazione del mio primo libro di poesie e ho avuto il privilegio – tra tanti poeti possibili – di essere stato scelto con entusiasmo per comporre testi e lavorare insieme a lui. Per due decenni.

Tra tutte le sfaccettature che compongono la sua straordinaria personalità, ce n’è una che lo caratterizza e lo distingue: quello di essere sempre, sempre in viaggio. Ancora prima di essere giunto in un luogo, sta già pensando a orizzonti futuri, così come le sue creazioni si susseguono incessantemente – appena realizzata una, lui già immagina la seguente: Para lucirse, Lo que vendrá, Adiós Nonino, Fracanapa, Concierto de nácar, Vardarito, Las estaciones porteñas, Oblivion, Escualo, Libertango, Camorra, Suite Troileana.

Questo comunque non vale solo per le sue composizioni: quando esce di casa, o da uno studio, o da un teatro dove ha suonato, cammina sempre venti metri davanti agli altri.

Già durante la sua infanzia i suoi genitori Vicente e Asunta danno un impulso al suo destino portandolo con loro a vivere per dieci anni a New York. E negli Stati Uniti tornerà con l’idea di lavorarci e stabilircisi definitivamente intorno al 1960, quando muore suo padre «Nonino», come lo chiamavano Diana e Daniel, i figli avuti con la prima moglie Dedé Wolff. Di questo periodo conservo una quarantina di lettere scritte da lui. Dopo vivrà per un lungo periodo a Parigi, poi a Roma, infine si stabilì a Punta del Este, in Uruguay. E se non viaggiava quasi più, lo si deve alla sua quasi insuperabile avversione per gli aerei: un’angoscia esistenziale, che gli crea ansia, che lo affligge, che lo soffoca e che gli rende vano ogni sforzo.

Il famoso filosofo spagnolo José Ortega y Gasset afferma che la sete di viaggi è un chiaro sintomo di intelligenza. Ma l’aspetto intellettuale in Piazzolla viene sovrastato dal suo enorme talento. Nato per essere musicista, predestinato a produrre un’opera formidabile, Astor è una sorgente per la musica.

Tra le tante situazioni che abbiamo vissuto insieme, durante i viaggi, o le tournée, a Parigi, Roma, Madrid, Londra e Buenos Aires, voglio ricordarne una: Libertador 1088 piso 14 departamento C. Lì, ancora assopito nel mio letto, lo sento che si alza alle nove di mattina con un caffè, per poi sedersi al pianoforte e lasciarlo non prima delle sette di sera, quando, allora sì, si permette uno scotch. In quelle dieci ore lo vedo riempire con un pezzetto di matita, senza quasi usare la gomma, mucchi di carta pentagrammata, annotando con la mano sinistra – è mancino – temi e melodie assolutamente inediti. Mentre con la destra, solo ogni tanto,  prova – in modo disadorno, quasi silenziosamente, con le punte delle dita – qualche accordo sulla tastiera. Perché la musica è già tutta dentro di lui. E mi confessa: compongo sul pianoforte perché mi dà l’idea di avere l’orchestra davanti e soprattutto perché sono un pianista talmente mediocre e faccio un sacco di errori, dai quali poi mi vengono delle idee che mi piacciono.

Io avevo già raccontato la storia del Tango ma, con a fianco questo complice, con le nostre composizioni, la Operita María de Buenos Aires, El pueblo joven, Las Baladas, i Poemas, Chiquilín, 3001, La bicicleta e tutte le altre, abbiamo rinnovato il Tango… con lui ho potuto scrivere un altro pezzo importante di questa storia.

Un pomeriggio del 1979, per una riedizione di El Libro del Tango di cui ero l’autore, un trattato in tre tomi che pesava dieci chili e che lui adorava e me lo chiedeva sempre quando doveva fare un regalo importante (ne portò una copia in Francia nonostante l’eccedenza di peso), ho scritto un suo ritratto e prima di pubblicarlo per delicatezza gliel’ho voluto leggere.

Diceva, dice: «L’arte porteña e argentina di Astor Piazzolla è una sintesi poderosa, integra, è la decantazione di un’etica musicale intuitiva, la somma di un ideale caparbio e frenetico e l’amore per la terra che gli buca la suola delle scarpe e gli risuona nel cuore.

È stato lui a segnare il profilo di una costellazione cosmica, il massimo esponente di un gruppo di compadres, con l’incanto dei romantici, la forza del carattere e il nutrimento per il futuro del tango. Per tutto il tango.

A volte eretico, contraddittorio, incauto, la sua forza sembra essersi intorpidita per attraversare la vita nella desolazione suprema di una persona allucinata che un giorno intravede il numero magico nel proprio essere e sa, con euforia e con timore, che i giorni che gli rimangono risulteranno pochi per rivelarla tutta».

Socchiuse gli occhi sussurrando: «Scrivilo così, tale e quale: questo sono io». Ancora adesso, come lui stesso viveva allora, il suo Tango e la sua musica viaggiano per tutti gli orizzonti del mondo, al di là della vita e della morte.

(Abbiamo scelto di tradurre le parole di Ferrer per il pubblico italiano. Ma la traduzione non rende la poetica del grande scrittore che lasceremo in originale sul prossimo numero (Manuela Pelati, direttore responsabile della Doble)

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