“Nel tango l’otto è alla base di ogni cosa”

PUBBLICATO IL 20 Agosto 2014

Miguel Angel Zotto

Miguel Angel Zotto

Pubblichiamo l’intervista in omaggio al premio alla carriera che Miguel Angel Zotto ha ricevuto il 9 agosto, durante la XIV edizione del Catania Tango Festival organizzato da Angelo Grasso. Il festival continua fino al 17 agosto 

di Franco Garnero

Le righe che seguono sono il frutto di una chiacchierata con Miguel Angel Zotto nel marzo del 2013, in uno dei ristoranti di Eataly in occasione della presentazione, a un gruppo di appassionati, della XIII edizione del Tango Torino Festival. Al nostro tavolo sedevano anche musicisti, organizzatori oltre a Marcela Guevara e Stefano Giudice, che a fine serata si sono esibiti per i presenti.

 

Il Papa tanguero, la famiglia lucano piemontese, le figlie, il tango di ieri, oggi e domani sono al centro di questa conversazione con Miguel Angel Zotto, ospite d’onore della tredicesima edizione del Festival internazionale del tango di Torino – “il migliore del mondo”,secondo le sue parole – che si è tenuto al Lingotto dal 28 marzo al 1° aprile del 2013.

Da qualche mese Zotto, che ha 55 anni, ha preso casa a Milano, “perché è al centro dell’Europa e, con poche ore di volo, posso essere dappertutto ed è anche per questo che ho deciso di abitare a pochi minuti da Linate”.Ma, spiega il maestro, che ha il doppio passaporto, “ho scelto l’Italia perché voglio crescere le mie figlie in questo Paese, a cui sono legatissimo”. Come è noto, la sua famiglia è originaria della Basilicata ma ha dei parenti anche nell’Alessandrino. “Tuttavia- ricorda – tempo fa una nobildonna piemontese di nome Zotto mi incontrò per convincermi che io ero uno dei suoi discendenti d’oltremare, ma non è vero, sia perché il vero nome della mia famiglia è Zotta, poi storpiato dagli impiegati dell’ufficio immigrazione, sia perché so bene che i miei antenati erano di umili origini”. Zotto racconta comunque che il suo percorso artistico, nella sua famiglia d’origine, “è iniziato così, con mio padre attore e mio nonno ballerino, ma nessuno mi ha mai detto nulla o esortato a fare alcunché, mi hanno semplicemente fatto respirare l’arte e il tango da quando sono nato e tutto il resto è venuto di conseguenza”. Afferma quindi che vuole fare la stessa cosa con le sue figlie: “Da quando sono diventato padre – sottolinea – la mia vita è molto cambiata, non immaginavo di provare emozioni così forti. Intendo continuare nel mio percorso di artista anche perché questa è la mia natura e non potrei fare altro, ma già l’idea di tornare ad aprire una scuola stabile dopo oltre venti anni risente anche della necessità di dare un approdo stabile alle mie figlie”.“In quale altra parte del mondo – continua – è possibile, a pochi giorni di distanza, poter vedere Venezia o Firenze o così tanti quadri, palazzi o sculture di assoluto valore? E sono convinto che tutte queste cose siano un nutrimento essenziale per qualunque persona”.

In che modo, allora, la frequentazione dell’arte italiana ha influito sul suo tango?

Sul modo di ballare direi proprio di no, ma di certo i quadri e le sculture del Cinquecento italiano sono stati determinanti nella mia formazione di regista e coreografo. Quando penso a una scena, all’equilibrio dei movimenti e delle masse, mi lascio ispirare dai maestri del Rinascimento. Anche le luci di scena risentono di questa mia sensibilità e attenzione. E sono particolarmente orgoglioso di quello che sono riuscito a fare in questo campo perché, anche se alla mia età non ho una lira in tasca, posso però dire di avere sempre e solo messo in scena spettacoli in cui credevo fermamente sul piano artistico”.

Cosa può dire dello spettacolo andato in scena il 28 al Teatro Nuovo di Torino?

Non è uno spettacolo con una struttura narrativa ma un viaggio nei tanti stili del tango, nelle diverse sensibilità che si sono affermate nel corso della sua lunga storia”.

Come si può montare uno spettacolo quando tutti i protagonisti abitano a migliaia di chilometri l’uno dell’altro?

Questo non è il problema principale da risolvere perché conosco perfettamente tutte le coppie di ballerini che sono andate in scena e so bene come trarre il meglio da ognuno di loro. Sono praticamente tutti miei figli, sul piano del tango”.

Lei è stato indicato come uno dei tre più grandi ballerini della storia del tango (ride). Sente la responsabilità di questo ruolo o è solo un complimento di cui sorridere?

No, no. Sento molto questa responsabilità. Perché mi rendo conto che dipende da gente come me non solo la crescita del tango ma anche quale tango trasmetteremo alle future generazioni, sulla base di quello che i grandi maestri come Rodolfo Dinzel o Pedro Monteleone ci hanno a suo tempo insegnato”.

Qual è allora il tango che deve sopravvivere nel tempo?

Dal mio punto di vista non ho ho dubbi: quello degli anni Quaranta e Cinquanta, molto apilado ma in cui la coppia si può anche aprire per dare spazio a dei momenti più elaborati e fantasiosi”.

E in che modo si può allargare la platea di appassionati?

Semplificando il tango, i suoi movimenti come la sua musica, per avvicinare i giovani che poi, un poco alla volta, si appassioneranno alle forme più complesse e alle musiche più sofisticate. Per quanto riguarda il ballo, noi dobbiamo ricordarci che tutto parte dall’otto. Quello è il punto di partenza del tango. Dopo tanti anni di insegnamento mi sono convinto che il ballo nella donna ha questo leit motiv. È per questa figura che l’Unesco ha dichiarato il tango patrimonio dell’Umanità. L’otto è il numero dell’infinito, è alla base di ogni cosa. E credo davvero che per insegnare il tango si debba prendere l’otto come pilastro”.

E del tango nuevo e del tango elettronico cosa pensa?

È un fenomeno importante, perché, grazie al fatto che esprime sonorità più familiari all’orecchio contemporaneo, avvicina molti giovani al tango. Ma credo che sia una moda, anche se utile. Il nostro compito però è avvicinare chi inizia con il Nuevo al tango vero e proprio e far loro comprendere tutte le sue potenzialità”.

Cosa intende dire?

Ballare il tango è un’esperienza meravigliosa e unica non solo per il piacere di muoversi a tempo di musica con un’altra persona, ma anche perché è un elemento fondamentale come socialità e come ricerca di sé. Negli anni Cinquanta, per esempio, c’è stata l’indipendenza femminile e questo fenomeno ha influito molto sul tango. Attribuendo nuove responsabilità al ballerino, che deve saper guidare, proteggere, la sua ballerina, dimostrarsi degno della sua fiducia e cercare con lei un più alto livello di coinvolgimento. Non dimentichiamo poi che il tango è una danza del popolo, che viene dal cuore, dalla pancia, dai bassifondi. Gli uomini delle classi più elevate scoprivano la passione con donne che magari si sarebbero volentieri portati a letto ma con cui mai si sarebbero accompagnati in pubblico. In questi giorni sto dando delle lezioni a una signora dell’alta società milanese che non riesce ad abbracciarmi, a ballare con me perché non riesce, sulla base della sua educazione, a lasciarsi andare completamente. Noi sappiamo però anche che con il meccanismo della mirada e del cabeceo due persone in un attimo possono dirsi tutto senza che nessuno se ne accorga e possa giudicarli. Voglio infine sottolineare l’importanza che hanno i testi nel tango. Contengono tutti metafore delicate, profonde e bellissime. Ed è per questo che ballare il tango è un’esperienza umana e artistica totale”.

Quindi il tango non rischia più di estinguersi come è accaduto in passato?

Direi proprio di no. È molto difficile che torni un periodo oscuro come quello degli anni Settanta, quando il tango è stato vicino all’estinzione. Pochi sanno però che il tango ebbe un altro periodo difficile, negli anni Venti, quando cominciò a essere molto popolare. La sua fama di ballo peccaminoso era arrivata alle alte gerarchie della Chiesa che valutarono se proibirlo o meno. Un ballerino molto popolare all’epoca, Casimiro Ain, nel 1924 fu invitato a ballare davanti a Pio XI. Casimiro, uomo molto accorto, scelse un brano particolarmente mite e lo ballò molto staccato dalla sua ballerina. E così il Papa approvò. Direi comunque che con l’elezione di Papa Francesco, che conosce il tango per averlo ballato anche lui, questo rischio non lo corriamo più”.

HA SCRITTO PER NOI #
Franco Garnero

Torinese, amante dei viaggi, dello sport, della vita all'aria aperta e delle buone letture, inciampa nel mondo del tango nel febbraio del 2010. Grazie a una dedizione ossessiva e monomaniacale è da tempo, per unanime giudizio, il miglior ballerino del suo pianerottolo e l'indiscusso punto di riferimento tanguero di tutto il (piccolo) condominio dove abita.

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