Mare Verde

StoriediTango

PUBBLICATO IL 2 Ottobre 2018

Anna Mio ha studiato filosofia e lavora all’università. Ha vissuto in Italia, Germania e Australia. A ventinove anni ha iniziato a ballare tango, ogni giorno si chiede perché non abbia cominciato prima. Osserva le persone dal tram, ama il gelato al pistacchio, soffre se non scrive. Uno dei suoi dispiaceri più grandi è che le scarpe da tango non vadano mai in saldo. Una delle sue gioie più grandi è che il tango non vada mai in saldo.

Storieditango nasce da un pensiero molto semplice: il tango è un binocolo sul mondo. Uno di quelli con le lenti potentissime, che appena li inforchi ti appiccicano agli occhi un’immagine prima lontana lontana. Il tango aiuta a vedere. E a sentire. L’idea di raccontare quello che si scorge attraverso questo binocolo, prima che come idea, è arrivata come desiderio. Il desiderio di conservare tracce di vite e di condividerle. Tutto è cominciato un paio d’anni fa con Nina, una signora moldava che si è poi trasformata in uno dei personaggi di storieditango. Si è seduta in spogliatoio, si è tolta le scarpe da ballo e si è massaggiata i piedi. Ha infilato le scarpe normali, si è alzata e ha detto quella frase: «Ah, che belo muovere questi gambi di legno» (https://www.storieditango.it/gambe-di-legno/). Nina aveva (e ha) due caratteristiche: è semplice, è forte. È semplice perché è riuscita a non dare troppo peso al peso del suo passato. Ed è forte per lo stesso motivo. Al tango ci è arrivata tardi. Prima era tutto diverso: viveva altrove, faceva altre cose, conosceva altre persone. Si è improvvisamente ritrovata nel suo punto zero da cui doveva ripartire. E nel suo punto zero c’era il tango.
Più ballavo e più scoprivo che il mondo tanguero è pieno di storie da raccontare. Comportamenti, pensieri, sentimenti, relazioni, corpi. Ci sono Nina, il Pirata, l’Antiquario, Alma, Nives, Taxi driver, Giglio Pabidoro e tutti noi. C’è una grande ronda in cui giriamo come la biancheria dentro la centrifuga della lavatrice. Ci entriamo sporchi sporchi, ne usciamo forse sporchi uguali, ma con il sollievo di essere un po’ più puliti di quello che credevamo. Volevo raccontare anche questo sollievo. Quel grado di autoconoscenza in più che il tango permette di raggiungere. E volevo raccontare la pelle del tango, gli occhi del tango, le sue ferite e i suoi trionfi. Allora mi sono decisa. La gestazione è durata un po’: un anno e mezzo dentro la testa, più sei mesi per realizzare il progetto web con dei professionisti e un’estate per testare il blog.

Il primo settembre 2018 ho finalmente lanciato storieditango. Mi sono detta: e ora vediamo che succede. Non ho un piano preciso. L’unica certezza è che pubblicherò una storia a settimana. Per il resto, farò come nel tango: improvvisazione.

Mare verde

Ho incontrato Giglio Pabidoro nel mezzo di un sogno. O così mi è sembrato, dal modo in cui siamo entrati e usciti dalla stanza.

I baffi di Giglio puntano in molte direzioni, a seconda di come muove la testa. Sono baffi da surrealista, sottili sottili, incerati, lunghi lunghi. Gli occhi sono aperti in modo diverso: uno molto più chiuso dell’altro. La pelle un po’ a chiazze. Ma lo sguardo fiero, e alto. Lo sguardo che gli parte da metà busto fino a sopra i capelli, molto più sopra. Ha come diversi piani di visione. Lui vede attraverso tutti noi. Ci legge, anche solo nel modo di allungare un piede o schermarci le labbra.

Giglio ci accoglie all’entrata, come un usciere, anche se lui è il re. Ci saluta uno a uno, offrendoci un contatto: un abbraccio, una mano, un palmo fermo tra la spalla e il collo. La ragazza mora arrossisce, non siamo tutti pronti a un contatto con uno sconosciuto, per quanto lo sconosciuto sia immerso in un sorriso gigante, di quelli con tante braccia che ti chiamano.

«Una persona che diventa rossa è una brava persona» dice Giglio. La ragazza mora arrossisce ancora di più. Si stacca da Giglio poco a poco, prima rilascia la stretta delle mani, poi lo sguardo. Va a sedersi insieme agli altri. Siamo tutti in cerchio, come i bambini all’asilo nell’ora dei giochi.

Giglio ci parla del tango, anche se non lo si può dire a parole, il tango. Non lo si può esaurire.

«Il tango è un ballo nato con l’orizzonte e verso l’orizzonte» dice Giglio. «Immaginatevi la Pampas argentina: un mare verde. Noi chiamiamo “monte” un gruppo di alberi, perché fa la differenza nell’orizzonte».

L’accento argentino di Giglio Pabidoro è un mattarello che spalma ogni parola come pasta frolla, l’intonazione delle frasi è morbida, scivola su un nastro trasportatore, un carrello con le rotelle oliate. Le erre e le essesquagliano la voce, sento l’acqua sotto la lingua.

«L’orizzonte ci insegna a ricordare di non dimenticare. La nostalgia ci ricorda la voglia di imparare» dice Giglio. «L’orizzonte è l’inarrivabile. Non si arriva da nessuna parte, fortunatamente. Così ci godiamo il viaggio».

Con il tango è lo stesso: non si arriva da nessuna parte. Se ti senti arrivato, non stai più facendo tango.

 

HA SCRITTO PER NOI #
Giovanna Miolli

Giovanna Miolli ha studiato filosofia e lavora all’università. Ha vissuto in Italia, Germania e Australia. A ventinove anni ha iniziato a ballare tango, ogni giorno si chiede perché non abbia cominciato prima. Osserva le persone dal tram, ama il gelato al pistacchio, soffre se non scrive. Uno dei suoi dispiaceri più grandi è che le scarpe da tango non vadano mai in saldo. Una delle sue gioie più grandi è che il tango non vada mai in saldo.

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