Nello schianto con me

StoriediTango

PUBBLICATO IL 8 Ottobre 2019

A volte il tango è un modo di schiantarsi per limitare il dolore di altri schianti.

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Nello schianto con me
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L’ha notata perché non sorride quasi mai. Se lo fa, è un’espressione del volto che concede più agli altri che a se stessa.
L’ha notato perché ha un certo modo di fare silenzio, di accogliere tutti i silenzi del mondo e rispettarli uno a uno. L’ha notato perché le sembrava che lui potesse parlare senza parole.

Si sono visti per mesi alla milonga del martedì, una sera periferica nello scorrere della settimana, senza l’impatto estraniante del lunedì né la furia del venerdì o la pacificazione rotonda della domenica. Per mesi si sono guardati da lontano, immersi nel non-tempo del martedì. Senza incrociarsi, senza usare la voce, senza ballare. Solo osservando i non-sorrisi e le non-parole.

Un giorno di maggio, lui l’ha invitata, scoprendo che in fondo era semplice farlo. Il primo brano parlava di un addio a Buenos Aires, con tutto il dolore che provoca, a volte, la necessità di tagliare pezzi di sé.
Durante il ballo, nell’abbraccio forte e spellato, lei si è ritrovata a sorridere per se stessa, lui si è ritrovato la testa piena di parole che tentavano di spiegare cose inspiegabili. Come l’alchimia improvvisa, come lo scambio silente tra i corpi, o il fuoco che risale dal bacino al petto e si trasforma in un modo di darsi all’altro e alla musica.

Il giorno dopo hanno bevuto un timido analcolico insieme, con la spiaggia davanti e il vento intorno e le nuvole sopra. Hanno avvicinato i mignoli, seguendo uno strano percorso sulla tovaglia cerata. Hanno intrecciato le dita, e nient’altro. Lei ha due figli e un marito che ama, ma l’amore non sempre è tutto e non tutto si esprime nell’amore. Lui di figli ne ha tre, una compagna antica e il mondo magico che si sono creati in diciassette anni di reciproca esplorazione dell’anima.
Eppure sono lì, a quel tavolo, con dita di cera pronte a sciogliersi e diventare parte della tovaglia. Sono lì, senza sapere perché e al contempo sapendolo benissimo.
Si salutano senza cercare un contatto. Non c’è il tango a proteggerli, a dare una cornice a quello che vorrebbero vivere insieme.

Si ritrovano alla milonga del martedì, con il cuore speranzoso e piccolissime paure che viaggiano insieme al sangue negli organi interni. Erano certi di incontrarsi. Si muovono nello spazio con la precisa coscienza – in ogni momento – di dove si trova l’altro. Monitorano l’aria, vedono anche senza guardare, sentono, sentono tutto.

Quando finalmente arrivano nell’abbraccio è come un fragore d’acqua contro pietre aguzze, fanno tutta una spuma che non si vede, ma vibra nello spazio. Vorrebbero annegare, e respirare, e poi perdere di nuovo la consapevolezza, e rischiare a ogni istante di morire per salvarsi appena prima della fine della canzone.

Nei secondi di silenzio tra un brano e l’altro, rimangono abbracciati. Quegli attimi sono importanti per esprimere tutto quello che non possono confidarsi a parole.

Non possiamo viverci, ma possiamo sfinirci di tango.

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HA SCRITTO PER NOI #
Giovanna Miolli

Giovanna Miolli ha studiato filosofia e lavora all’università. Ha vissuto in Italia, Germania e Australia. A ventinove anni ha iniziato a ballare tango, ogni giorno si chiede perché non abbia cominciato prima. Osserva le persone dal tram, ama il gelato al pistacchio, soffre se non scrive. Uno dei suoi dispiaceri più grandi è che le scarpe da tango non vadano mai in saldo. Una delle sue gioie più grandi è che il tango non vada mai in saldo.

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