María de Buenos Aires

L’Opera delle ombre dei tanghi che furono e che non esistono ancora

PUBBLICATO IL 13 Gennaio 2023

L’8 settembre 2022 nella splendida cornice del Teatro Tito Schipa di Gallipoli è andata in scena la rappresentazione di Maria de Buenos Aires. Di seguito il bellissimo commento di Maria Domenica Muci sull’operita.

Il tango crea un torbido
passato ch’è irreale e in parte vero,
un assurdo ricordo d’esser morto
in duello, a un cantone del sobborgo.
(Jorge Luis Borges)

 

María de Buenos Aires è un’opera-tango (tango operita) di Astor Piazzolla su libretto di Horacio Ferrer. Piazzolla la scrive al suo ritorno da Parigi, nel periodo in cui si impegna a far rinascere il tango, contaminandolo con la tradizione colta europea e con il jazz (tango nuevo) e inserendo nuovi strumenti, anche elettronici, prima estranei al repertorio. Il progetto di questa tango operita, che Piazzolla considera una via di mezzo tra un oratorio e una cantata, gli stava molto a cuore tanto che decise di autoprodurla vendendosi l’appartamento e l’auto. María de Buenos Aires viene rappresentata per la prima volta l’8 maggio del 1968 a Buenos Aires, un allestimento colossale e unico nel suo genere, che darà il via al lungo sodalizio con Horacio Ferrer e alla fase più creativa di Piazzolla – come lui stesso dirà. I due autori si erano incontrati nel 1967, quando Ferrer aveva pubblicato un libro di poesie dedicato al musicista; in quell’occasione Piazzola aveva detto: “Ferrer scrive poesie come io scrivo il tango”.

Foto di Nunzio Giove

Piazzolla e Ferrer riprendono una storia degli inizi del Novecento molto nota a Buenos Aires: Maria, giovane operaia vissuta nel suburbio, diventa cantante di tango e poi finisce in una casa di tolleranza, dove viene uccisa. Nella tango operita Maria muore solo una prima volta, poi rinasce, riportata in vita dallo Spirito della città come ombra di se stessa, infine verrà aiutata a partorire una bambina, una nuova Maria che è lei stessa ma non lo è completamente.
L’operita è divisa in due parti, ciascuna di otto quadri. È buio a Buenos Aires. Uno Spirito si aggira per le strade: è El Duende, Spirito un po’ malvagio, un po’ redentore e un po’ giocherellone. Lui rappresenta l’anima di Buenos Aires. El Duende vuole evocare Maria, che ora si trova nel mai più e che aleggia sulla città, rimasta a lei devota come si resta devoti a un’eucarestia insudiciata. El Duende esorcizza la sua voce, proclamando la sentenza: Ahora que es tu hora María de Buenos Aires (ora che è la tua ora, Maria di Buenos Aires). Maria risponde alla chiamata con un canto, il Tema di Maria, un tango senza parole.
Con la Balada para un organito loco inizia la vicenda della donna, nata un giorno che Dio era ubriaco, raccontata da un Payador (giullare gaucho itinerante) e dal Duende, insieme a un coro di uomini ritornati dal mistero. Maria si rivelerà compiutamente nel canto Yo soy María: lei è una temeraria, una prostituta maledetta che si è lasciata sedurre dal bandoneón, campando nei bassifondi di Buenos Aires tra ladri e
delinquenti.

Foto di Nunzio Giove

L’infanzia di Maria è narrata dal Passero Sognatore, un ragazzo di strada che ricorda che la bimba si era allontanata anche da lui, in preda a forze oscure. L’infanzia di Maria è espressa nella Milonga carrieguera por María la Niña, una milonga per Maria la bimba nello stile di Evaristo Carriego, poeta della tradizione che aveva cantato gli arrabales (bassifondi) di Buenos Aires. Quando Maria cresce, lascia il suo barrio e fugge verso la città: in Fuga y misterio, lei, allucinata, si perde nella notte.
La vita nelle casas malas dei quartieri abitati da delinquenti, ubriachi e imbroglioni viene raccontata da lei stessa nel Poema valseado: sarà uccisa, perché si è lasciata andare all’arcangelo dei postriboli’, il bandoneón. Proprio contro il bandoneón, che ha perseguitato quella bambina che era quel poco di mistero che un Dio afflitto, un povero Dio di Buenos Aires aveva concesso alla città, El Duende si scaglia. Si apre un duello,
lotta virile tipica della ‘gente di coltello’ del tango. Il bandoneón si presenta da solo, sfacciato e sfidante in un clima rovente di macumba: è il quadro della Tocata rea.
Dopo il duello, in un Miserere dei bassifondi (Miserere canyengue) ladri, guappi e popolani fanno una messa nera invocando il sacrificio di María. Così lei se ne andrà verso il suo altro inferno, abbandonando la spoglia rosa del corpo.
Nella PARTE II Maria è già morta. In una Contramilonga a la funerala per la prima morte di Maria, El Duende racconta la sua sofferenza alla presenza delle Malene, le donne del tango morte prima di lei. Ma la morte è presagio di altro: la sua Ombra aleggia sperduta per Buenos Aires, in una Tangata del alba, e riversa la sua confusione in una lettera, scritta agli alberi e ai camini di Buenos Aires per raccontare il suo dolore consumato tra l’indifferenza della gente. Dopo la lettera le atmosfere cambiano: entra in scena il coro degli psicoanalisti (Aria de los Analistas), un’allusione all’altissima concentrazione di analisti in Buenos Aires negli anni Sessanta. In una sorta di istrionico circo a cielo aperto, loro tentano invano di far recuperare all’Ombra di Maria il suo passato. Lei ricorda appena i genitori e dice che il suo primo cuore è stato tagliato in quattro e sepolto nelle buche di un biliardo, mentre il secondo cuore è stato ricavato da un mandil (pezzo di stoffa che il bandoneonista mette sulle gambe per poggiare il suo strumento), e cucito sul suo ventre di vergine: è questo il suo Misterio”.
Intanto El Duende è afflitto per queste nefandezze e, ubriaco, nella Romanza del Duende poeta e curda, preannuncia la rinascita di Maria. Tre Marionette Ubriache di Cose gli promettono che porteranno a Maria “il Dicembre”, cioè il Natale, il Mistero della nascita.
E così le tre Marionette Ubriache di Cose, in un Alegro Tangabile, portano all’Ombra di Maria il seme della fecondità. A questo dono partecipa una folla, che è un tripudio di personaggi fantastici e grotteschi: marionette, putti di terracotta, piccoli Chaplin, suonatori ambulanti, cappellani, discepolín (personaggi-maschera popolari) affollano le strade di Buenos Aires, alla ricerca del seme che fecondi l’Ombra di Maria.
Nella Milonga de la anunciación l’Ombra, proprio come una ‘Maria concepita senza peccato’, riceve il seme dalle Marionette, poi avverte che sta per partorire ma non sa se dentro di lei stia veramente crescendo una nuova vita o se finirà per cullare uno scarpone.

Foto di Nunzio Giove

È una domenica particolare quella in cui El Duende e le Voci di quella giornata sentono che sta per succedere qualcosa. In un occulto e strambo Tangus Dei, che ricalca l’Agnus Dei domenicale, El Duende invoca più volte l’alloro e la premonizione viene confermata dai Muratori Maghi e dalle Impastatrici di Taglierini a cui tremano le mani. Sono proprio loro ad essere testimoni del parto dell’Ombra di Maria. Nasce una bimba, una nuova Maria: Nuestra María de Buenos Aires.
María de Buenos Aires è un’opera complessa, con una trama surreale e visionaria e soprattutto con un’interpretazione del tango lontana dal ballo tradizionalmente conosciuto. Tra le caratteristiche musicali emergono gli ostinati ritmici, le iterazioni simmetriche delle frasi musicali, l’abbondanza delle progressioni, la contaminazione della milonga, dell’habanera, del vals e del tango con le forme della musica colta
occidentale, soprattutto la fuga e la toccata.
L’intenzione artistica è creare un’opera di tango, dedicata al tango, che risuoni di tango in tutte le sue componenti: storiche, tematiche, musicali, testuali e drammaturgiche. Il destino di Maria è la storia vera di tantissime donne dei sobborghi, nell’operita rappresentate dalle Malene morte di tango prima di lei,
contese a dadi e abusate. Accanto alla protagonista Maria vi è il bandoneón, strumento simbolo del tango che in alcuni quadri diventa un personaggio.

Foto di Nunzio Giove

Il centro dell’opera è il tango delle origini nato nelle orillas, luoghi periferici di mattatoi e di mandriani, e negli arrabales, miseri e rissosi agglomerati della periferia porteña, fatti di case basse, androni, patios con pozzi, lunghe strade con lampioni, inferriate, facchini all’angolo, tram a cavallo e allevamenti di cavalli… Insomma i luoghi tipici dell’identità criolla, scenari di duelli e di sfide per il controllo sociale e l’onore, di giochi di dadi e di carte. Di tutto ciò non resterà quasi memoria nella successiva evoluzione del tango, e la perdita di queste ascendenze fu necessaria affinché il tango potesse affrancarsi dalle sue radici più triviali e diffondersi con enorme successo in tutto il mondo.

In María de Buenos Aires il tango esprime, senza nessun velo, un’appartenenza. Appartiene ai tormentati, ai guappi, agli ubriachi e ai meticci, appartiene alla passione erotica dei bassifondi latino e afroamericani, appartiene alle luci e alle ombre di un’intera città. Come ben documenta Borges nelle quattro conferenze universitarie (pubblicate in Italia nel 2019 da Adelphi) alle origini del tango, intorno al 1880, vi sono la milonga priva di testo e l’habanera. Il tango nasce, quindi, senza parole e in questa forma iniziale Piazzolla e Ferrer lo richiamano nell’operita: quando Maria viene evocata dallo Spirito, lei risponde con il Tema di María, che è una canción sin palabras, un tango senza parole. Maria è perciò l’incarnazione di un tango che evolve storicamente sulla scena da una canción sin palabras alla canzone Yo soy María.
Tutta la vicenda di Maria è la vicenda di Buenos Aires che rinasce, e quindi del tango: una città de duelo y de fiesta, in cui Maria si presenta come “città”: De Buenos Aires María ¡yo soy mi ciudad! L’opera è Maria, e Maria è Buenos Aires: santa e prostituta, corpo e ombra, buio e luce, ferita e festa, carne e spirito.
Il tango arrabalero (dei sobborghi) è allestito in tutte le sue sfaccettature e nei tratti peculiari delle origini. I personaggi sembrano drogati di pericolo, sono temerari a cominciare da Maria, e sempre duri e sfrontati. Diversi sono i riferimenti alle pugnalate, ai coltelli e alle lame affilate. Ci sono tutti i tipi del malaffare di Buenos
Aires: i compadritos, i niños bien, i tenutari, i ciarlatani, i ladri, e poi i giullari, gli ubriachi, i musicisti di strada e le donne di vita, che solitamente erano criollas, meticce, e infatti Maria è mulatta. Insomma, sono ambienti di gente di coltello e di duelli a coltello che insegnano a ballare. Il poeta argentino Miguel Camino in una poesia scrive che il tango fu figlio di una sgualdrina e di un balordo dei sobborghi e che i duelli al coltello gli insegnarono a ballare (Hijo fue de una milonga y un pesao del arrabal; ricordiamo che milonga ha anche il significato di sgualdrina e di sala da ballo). L’operita di Piazzolla e Ferrer è intrisa di un tango che mai perde la sua duplice anima di forza intensa e di tristezza, in analogia alla vita di Maria, donna di spavalderia smaccata e di forza stoica (María tango, María pasión fatal! María del amor! De Buenos Aires soy yo!) e allo stesso tempo donna di tristezza e di discriminazione (Seré más triste, más descarte, más robada que el tango atroz). María de Buenos Aires è un’opera completamente dentro la dimensione suburbana del primo tango, eccessivo, eroticamente squassante, espressione di mescolanza di culture e di storie di immigrazione. Alcuni elementi del libretto (i tre chiodi, il rosario, il venerdì santo, la resurrezione, la croce) collegano la figura di Maria con la Madonna Immacolata e con il Cristo. Ma nonostante questi riferimenti cristiani, il dio del tango è senz’altro un qualche dio (di borgesiana memoria) dei portoni e dei patios, certamente un dio porteño che proteggeva a modo suo, magari dalle ubriacature. Di fatto, su tutto si staglia un’umanità ferita ma incapace di aver paura. Un’umanità che sfida. Dura e tesa, come nel tango. Come nel tango, audace e fiera. È un’umanità ritratta nel vero del suo gergo, il lunfardo (escruche, lunfardarios, cachuzo, bufosa, mamitas), gergo dei sobborghi adoperato nelle città affacciate sul Rio de la Plata e che includeva parole di origine francese, tedesca, italiana, portoghese, inglese, termini derivati anche dai dialetti e dalle lingue indigene americane. Horacio Ferrer esprime poeticamente l’indissolubilità della vita-musica porteña tanguera. Per la gente di Buenos Aires la giornata è un quotidiano improvviso switch nel tango, al punto che la voce di Maria è bandoneonera, nelle bettole il dolore è canyenguero, l’eco di un rosario è tanguero, il bar è un magico bár talismanero, la Pasqua dei bassifondi è canyengue (che è il modo di suonare, ballare e cantare il tango tipico delle borgate).

L’arte di Ferrer ritrae gli aspetti più violenti e le contraddizioni della città, tenendo fede alle ‘cose’ della città e legandole assieme in una lingua poetica che non smorza nulla. La rappresentazione visionaria e fantastica di una realtà tanto cruda e tormentata permette di entrare nella profondità di una materia scabrosa, non di
aggirarla, e di coglierne completamente la complessità. Ferrer non racconta ma fa vedere, la sua è la poesia della vividezza che concentra i contenuti in espressioni dense ed evocative. La parola è anch’essa corpo e ombra, è Presenza nel mistero; soprattutto è immagine potente che s’imprime con un’estetica paragonabile allo stile elegante e creativo dell’epica classica.

Foto di Nunzio Giove

Piazzolla e Ferrer paiono essi stessi ‘ubriachi di cose’ nell’architettare la loro tango operita e giungono a una sintesi perfetta tra il vecchio e il nuovo tango, intrecciando la componente erotica da postribolo, la componente pugnace da coltello e la variegata complessità sociale di Buenos Aires. Entrambi giocano sui contrasti e sulle simmetrie, sulle iterazioni delle frasi e sulle progressioni amplificanti e tutto convive e ‘batte’ nella vitalità di Maria che in sé condensa tutto lo spirito immortale dei vecchi tanghi, suonati e parlati nelle ombre dei tanghi che furono e che non sono più. Vecchi tanghi fatti – come ebbe a notare Borges – di pura sfacciataggine, di pura spudoratezza, di pura felicità del coraggio.
María de Buenos Aires è la pura dura ‘felicità del coraggio’ del suburbio e del meticciato, che sfida la vita atravesando las fronteras de la muerte. Una felicità ritmica e melodica, che entra nelle vite tribolate e le riscatta, consegnandole incondizionatamente a giri di tango.
Senza questo sguardo anche antropologico sul tango non si colgono appieno le ‘visioni’: sedici quadri palpitanti di gente che, comunque vada, non si vive mai come persa. Quadri palpitanti di umanità fieramente spinta, da involontaria volontà, nel proprio rischio del coraggio, in cui misura i propri più duri destini dentro i passi di una milonga. In cambio di niente.

Per me il tango è un esercizio di liberta’ straordinario:
è il profumo, il sapore, l’odore, è l’arte della sensualita’;
il suo destino è quello di esprimere il lato confidenziale dell’esistenza
e di ricondurci all’istinto primordiale, che è la parte più libera di noi stessi.
(Horacio Ferrer)

I protagonisti della Maria de Buoenos Aires sono poliedrici artisti dall’esperienza internazionale: Lucia Conte nelle vesti di Maria de Buenos Aires e dell’Ombra di Maria, Vincenzo Sarinelli in La Voz de un Payador, Porteño Gorrion con Sueño, Ladron Antiguo Mayor, Analista Primero, Una voz de ese Domingo. A Salvatore Della Villa è affidata la regia dell’opera, oltre ad essere la voce narrante in El Duende. La digital project art, a cura dell’artista italo-tedesco Ippazio Fracasso Baacke, è una lettura in chiave contemporanea dell’opera, con immagini trasfigurate, provocatorie e profondamente riflessive.

La compagine musicale alla conduzione dell’opera è l’Ensemble Terra del Sole formata da Enrico Tricarico, (pianoforte e direttore musicale), Alessandro Gazza (accordion), Armando Ciardo (violino), Elena Borlizzi (flauto), Giuseppe Pica (contrabbasso), Roberto Duma (percussioni).

Le danzatrici Nadia Bucci, Elena Costa e Beatrice Tarantino, della Compagnia Il Musicante interpretano: Voces de los Hombres que Volvieron del Misterio, Voces de los Ladrones Antiguos, Voces de la Viejas Madamas, Voces de los Analistas, Voces de las Tres Marionetas Borrachas de Cosas, Voces de las Amasadoras de Tallarines, Voces de los Tres Albañiles Magos.

La produzione dell’opera Maria de Buenos Aires è dell’associazione Il Musicante, con la collaborazione della Città di Gallipoli, Pro Loco Gallipoli, Camerata Musicale Salentina, Compagnia Salvatore Della Villa, Mestemacher, Istituto di cultura italo-tedesco di Lecce, Tango También.

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1 commento

  1. Barbara Barbara ha detto:

    Bellissimo articolo

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