ARTEMISIA: 35 ANNI A FIANCO DI DONNE E BAMBINI.Una comunità che cura, protegge e trasforma

Partecipare a Il Sogno – la Milonga Solidale di Alessandro Francini, il 25 maggio all’Auditorium di Scandicci, significa anche questo: aprire gli occhi su ciò che non si vede, ma che lascia cicatrici profonde.

Questa ultima tappa ci porta a Firenze, dove da oltre trent’anni l’Associazione Artemisia lavora nel contrasto alla violenza su donne, bambini e adolescenti.
Il loro nome custodisce una memoria antica e potente: quella di
Artemisia Gentileschi, pittrice straordinaria e simbolo – suo malgrado – di una lunga eredità di violenze.

Artemisia Gentileschi


Sopravvissuta a uno stupro e a un processo umiliante nella Roma del Seicento, è divenuta oggi
un riferimento potente, che tiene viva la consapevolezza di quante generazioni siano state private non solo della possibilità di esprimere il proprio talento, ma del diritto stesso alla dignità e alla vita.

Da qui nasce la “doppia identità” di Artemisia: quella della cura e dell’accompagnamento alle donne vittime di violenza, e quella – altrettanto delicata – del sostegno ai loro figli e figlie, bambini e adolescenti coinvolti direttamente o indirettamente nella violenza.
Un impegno che si estende anche
agli adulti che portano dentro di sé ferite dell’infanzia, spesso invisibili ma profondissime.

Artemisia oggi è: ascolto, cura, accompagnamento, prevenzione e protezione.

Nata come associazione di promozione sociale, Artemisia è oggi una realtà complessa e radicata, che ogni anno accoglie oltre 1.150 richieste di aiuto. È presente sul territorio con:

  • 11 sportelli territoriali
  • 4 case famiglia, 2 case rifugio e 2 case di semiautonomia
  • 35 professioniste specializzate nella valutazione del rischio, protezione, trattamento del trauma, prevenzione e promozione dell’autonomia
  • Oltre 40 operatrici
  • Servizi completamente gratuiti, finanziati da enti pubblici, fondazioni ed enti privati

I servizi offerti sono specialistici, gratuiti, basati su un approccio integrato e multidisciplinare. Dalla valutazione del rischio alla cura del trauma, dall’accompagnamento legale alla ricostruzione dell’autonomia, ogni intervento parte da un ascolto profondo e rispettoso della persona.

Artemisia fa parte della rete nazionale CISMAI, collabora con il numero antiviolenza 1522 ed è partner della Fondazione Una Nessuna Centomila.

Dottoressa Elena Baragli

Abbiamo scelto di intervistare la dottoressa Elena Baragli, presidente dell’associazione, per portare dentro questo articolo una riflessione che va oltre il dato tecnico e ci interroga come esseri umani.

«La violenza più difficile da riconoscere è spesso quella che si vive da bambini, dentro casa, nei rapporti più intimi. In che modo oggi, nel vostro lavoro, si manifesta questo tipo di trauma? E soprattutto: come possiamo imparare a riconoscerlo prima che sia troppo tardi?»

Elena Baragli: “La violenza di cui ci occupiamo si manifesta proprio nelle relazioni intime, sia tra adulti che tra ragazzi, ragazze o tra pari. Avviene perlopiù tra le mura domestiche, nella vergogna e nel silenzio, nella volontà da parte del maltrattante di recidere ogni legame con i colleghi di lavoro, le amiche, i familiari e i conoscenti della donna che la subisce.
Prende molte forme, tra cui quella fisica e psicologica, quella sessuale, economica e molte altre modalità subdole e difficili da riconoscere.
Per i bambini, poi, il tema è ancora più complesso: Artemisia si occupa delle varie forme di abuso e maltrattamento, che vanno dalla trascuratezza alla violenza assistita, fino all’abuso sessuale. Quando queste violenze avvengono in famiglia, è molto complesso farle emergere.
I traumi che i bambini riportano si manifestano con sintomi che vanno dall’ansia alla depressione, ai disturbi del sonno e dell’attenzione, fino all’iperattività o all’autolesionismo.
Si tratta di sintomi post-traumatici da stress che affliggono sia le vittime adulte che i minorenni, colpiti da queste forme di violenza che spesso si protraggono per anni.
Riconoscere questi segnali richiede la capacità di saperli leggere e interpretare correttamente, con il supporto professionale dei Centri Antiviolenza, specializzati nel trattare questo fenomeno e supportare le persone.
Molti eventi di sensibilizzazione Artemisia li svolge nelle scuole (con studenti e docenti), nelle aziende, e nella comunità tutta, a vari livelli, per costruire consapevolezza e aiutare la rilevazione precoce delle situazioni di violenza in atto o pregressa.
Agire per l’emersione del fenomeno e la rilevazione precoce è essenziale per evitare esiti fatali, come i femminicidi o il fenomeno dei cosiddetti “orfani speciali”, ovvero bambini la cui madre è stata uccisa dal padre, che a sua volta si è suicidato o è stato incarcerato.

“Le radici culturali della violenza spesso si annidano nel linguaggio, nei modelli familiari, nei media. Come possiamo, nella vita di tutti i giorni, contribuire a cambiare questa narrazione tossica?”

Elena Baragli: “Sì, la cultura della violenza è ormai accettata come normale, tanto sono radicati nella società i modelli patriarcali e maschilisti. Si parla, infatti, di normalizzazione della violenza, che viene socialmente accettata e tollerata.


Studi sulla pedagogia di genere stimano che, se i messaggi contenuti nei libri di testo scolastici — fin dall’infanzia — fossero “ripuliti” da stereotipi e pregiudizi, forse tra cinquant’anni potremmo avere generazioni di giovani educate diversamente, finalmente libere da modelli tossici.

Tanta parte dell’opera di prevenzione Artemisia la svolge nelle scuole di ogni ordine e grado, per educare al rispetto, alla parità, al riconoscimento e alla corretta gestione delle proprie emozioni, e alla costruzione di relazioni libere da prevaricazione, coercizione e sottomissione.


Tra gli adolescenti c’è poi il grande tema della violenza digitale, che complica il tipo di interventi da portare avanti e preoccupa molto i genitori. Artemisia ha fatto una scelta strategica: è stato il primo Centro Antiviolenza in Italia ad associare anche uomini, per provare non solo a costruire alleanze positive con gli uomini non maltrattanti, ma anche per far emergere e rendere visibili modelli maschili alternativi a quelli machisti e patriarcali, che tanto male fanno ai bambini, ai ragazzi e agli uomini stessi.

Ogni giorno ciascuno di noi può fare la propria parte: usando un linguaggio non sessista e non discriminatorio, criticando amici e colleghi quando li utilizzano, offrendo la propria solidarietà di fronte a una donna o a un bambino maltrattato, anche “solo” aggredito verbalmente. A scuola, sul posto di lavoro, nel proprio quartiere: essere persone rispettose, accoglienti, solidali. E se ci si accorge di segnali di violenza — o se qualcuno ce li rivela — indirizzare immediatamente le richieste di aiuto ai Centri Antiviolenza competenti sul territorio.

“La violenza non è solo un fatto privato, è una questione sociale. Cosa significa oggi, per voi, costruire una comunità che non solo protegga, ma sappia anche prevenire e trasformare?”

Elena Baragli: “Fermare la violenza non è un compito che riguarda solo le professioniste e le reti antiviolenza. Tutta la comunità è chiamata a fare la propria parte per contrastare questo fenomeno e contribuire a migliorare l’assistenza: istituzioni, servizi sociali, sanitari, forze dell’ordine, magistrati e tribunali. Ma anche scuole, aziende, associazioni culturali, sportive, del mondo dello spettacolo e del volontariato. Oggi molte realtà prendono posizione e ci contattano per contribuire con donazioni, progetti specifici, iniziative e attività di prevenzione e sensibilizzazione.”

Perché una Milonga?

Perché il tango – danza di connessione, rispetto e ascolto – diventa metafora di una relazione sana e consapevole, dove i ruoli si scelgono insieme, e nessuno guida con la forza.

Una milonga può accendere consapevolezze. Un articolo può generare ascolto. Una rete può davvero fare la differenza. 

Chiudo con un invito: Condividete. Parlatene. Leggete.
👉 Scoprite i servizi di Artemisia:https://www.artemisiacentroantiviolenza.it/

Barbara Savonuzzi

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