“Vivo il tango nel presente con la poesia del passato”

PUBBLICATO IL 28 Febbraio 2014

Leonardo Cuello

Leonardo Cuello

Leonardo Cuello è coreografo e docente universitario tra i più celebri ed eclettici di Buenos Aires. Proviene dal folclore argentino e ha lavorato nella compagnia “Tangokinesis” di Ana Maria Stekelman. Con i suoi spettacoli, tra i quali Tetralogia e Quintessencia, propone una poetica attraverso la quale il tango si fonde con altri linguaggi, mantenendo la sua essenza. Lo abbiamo incontrato a Buenos Aires ad agosto, attualmente è in tournée in Europa.

Leonardo come ti sei avvicinato alla danza nel passato e successivamente al Tango?
Bene, i miei genitori si conobbero ballando folclore e quando ero ancora bambino li seguivo quando loro ballavano nelle feste di paese e di quartiere. A sette anni cominciai a prendere le mie prime lezioni di ballo. Negli anni a seguire ballai con un gruppo folclorico e di tango, e benché il tango non fosse molto popolare tra i giovani io continuavo a studiarlo con un ballerino molto apprezzato ”Cacho Dinzel”. Facevo inoltre parte del “Balletto Folkloriko de la Universidad de Buenos Aires” studiando folclore e tango. In quel periodo la direttrice del balletto, che è l’attuale presidente del “consiglio Argentino della danza”, Beatriz Dante, già studiava lla contaminazione tra folclore e tango, così anche io cominciai ad interessarmi a questa fusione. Investigando e facendo ricerche, continuai a studiare e ballare con Mingo Pugliese e molti altri.

Lo spettacolo Tetralogia

Lo spettacolo Tetralogia

Raccontaci della tua esperienza con la compagnia di Ana Maria Stekelman
Io ho sempre puntato alla fusione del tango con altri balli. Cominciava a farsi strada in me il tango come ballerino più che come milonghero e quindi nel 92 cominciai a lavorare con Oscar Araiz e nel 95 con Ana Maria Stekelman e proprio con lei mi furono aperte delle nuove porte nell’investigazione di questa danza, lavorai in seguito anche con Doris Petroni con il balletto contemporaneo del Teatro San Martin. E’ interessante che dopo aver lasciato “Ana” nel 99 cominciai a lavorare nel mercato commerciale del tango continuando però le mie investigazioni a 360°

C’è un compositore o una musica in particolare che hanno segnato il tuo percorso?
Non c’è un compositore o un movimento che mi abbia influenzato più degli altri, sono momenti e tappe della vita che mi piace chiamarli “periodi estetici del tango” e oggi amo qualsiasi tipo di questi movimenti estetici. Ad esempio in questo momento sto lavorando con un “Piazzolla” sinfonico.

Possiamo dire che ogni momento ha un suo valore particolare?
Cerco di connettermi e trovare in ognuno di questi momenti la poesia, i miei allievi invece sono più selettivi di me, a loro piace conoscere il tipo di musica di un determinato periodo, un determinato autore e io mi ritrovo spesso a chieder loro di ricercarmi per esempio un tipo di musica non cantata dove però posso ascoltare i violini, invece in altri momenti preferisco ascoltare i bandoneon e loro mi aiutano in questa ricerca.
Per me è come se volessi farmi un vestito, entrassi in un negozio di stoffe e rimanessi colpito da tutte le stoffe e dovessi scegliere o quella più classica o quella più moderna.

Hai presentato il tuo spettacolo con molto successo al “Mundial 2013” e lì si è visto quest’anno un’incredibile evoluzione dal punto di vista tecnico e qualitativo, quale sarà a tuo avviso l ’ulteriore sviluppo del tango a Buenos Aires e nel mondo?
Penso che oggi l’estetica sia migliorata e si sia più raffinata, è già un po’ di tempo che sta succedendo, soprattutto lo si nota nel “tango de pista”, nel tango escenario c’è un po’ più difficoltà ad abbandonare una certa volgarità, dico volgare perché alcuni passaggi con effetti acrobatici e fisici che per me sono un po’ volgari sono difficili da abbandonare, però in occasione dei mondiali per fortuna si sta facendo di anno in anno un grande lavoro, tanto da migliorare il gusto e l’estetica, questo grazie anche ad un miglioramento del livello tecnico ed una ricerca nel buon movimento.
Per andare avanti in questo percorso bisogna vedere quanto i coreografi piuttosto dei ballerini abbiano la capacità e siano in grado di rischiare.
Al mondiale ho visto una crescita ed una ricerca in questo, però c’è ancora molto da fare e continuare in questa ricerca, incrocio le dita perché l’aspetto commerciale si allontani un po’ da questa attività e che gli artisti del tango non abbiano paura nel lasciare un po’ questo aspetto commerciale per dedicarsi a migliorare l’aspetto estetico, anche se la cosa non è così facile.

Potresti darmi una tua definizione di “Tango de pista” e “Tango escenario”?
Il tango de pista è il tango tradizionale… ”de marca”… essenziale, che si svolge in uno spazio sociale dove il piacere è interno, intimo, è ballare per il piacere di ballare con un’altra persona e di trovarsi con la musica senza nessuna influenza esterna, è creatività e co-creatività in quel piccolo spazio che ci si ritaglia in pista. Il tango de escenario per me è una cosa diversa, poter prendere la meravigliosa situazione che succede tra due persone con il tango tradizionale in pista e tradurla sul palcoscenico, facendo sì che il pubblico si avvicini e possa gioire di quell’incontro. E per poter mettere in scena questo, ci sono delle regole da seguire, definire tutti i dettagli lavorando con tutta una équipe, costumiste, tecnici, luci, preparatori atletici, ecc… come nel cinema,in modo tale che il pubblico poi possa capire, apprezzare e avvicinarsi a ciò che vede.

Tu sei docente allo “IUNA” (Istituto Universitario Nacional del Arte) e l’anno scorso ho potuto vedere la preparazione di un tuo spettacolo con questi giovani ed incredibilmente bravi allievi. Al giorno d’oggi qual è l’approccio dei giovani con il tango, come lo vivono?
I ragazzi dello IUNA lo vivono con assoluta libertà e io collaboro per fare in modo che loro non perdano questa spontaneità. E’ fantastico che qui in Argentina i giovani scoprano e s’ innamorino della loro arte popolare studiando e rispettando le tradizioni, così da assicurarne una continuità per un futuro ed è già più di un secolo che questo ballo continua a vivere rispettandone le tradizioni e loro faranno parte di una ulteriore crescita del tango.

A questo punto quanto è importante tradizione e innovazione ?
All’inizio mi sentivo molto … Kinetico, molto Stekellman , perché giocavo con il corpo e con il movimento e così ho costruito un paio di opere, poi piano piano, come succede ai pittori che gli si scioglie la mano, anche io ho cominciato a sciogliermi e ammorbidire la traccia addentrandomi di più nell’aspetto teatrale e nella drammaticità del movimento. All’inizio lavoravo con la musica contemporanea poi ho cominciato a ricercare nel tango del passato degli anni ‘40, ‘50 e del ‘30. All’inizio sì, lavoravo di più con musica contemporanea ma ora quello che mi rende più contento è il lavoro che sto facendo con le musiche di un altro tempo, adoro le milongas di D’Arienzo come le musiche di Di Sarli e Calò, la voce di Podestà.

Cosa vuoi trasmettere al pubblico con i tuoi spettacoli?
In verità non so cosa provoco nel pubblico, ma so cosa sento io andando nella profondità del tango e cercando di costruire, come coreografo, una forte identità. Penso a me contemporaneo, perché vivo l’oggi con i ballerini con delle caratteristiche moderne in enorme evoluzione tecnica, ma prendendo dal passato la poesia… una milonga di D’Arienzo ti può far viaggiare da qui alla Calabria, selezionando i vari elementi meravigliosi che ha il tango, per poter parlare sulla scena al di là di Piazzolla, di Pugliese o dell’erotismo fatto e rifatto, come unico elemento scenico.

di Andy Mocellin-Cassina

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