di Victor Hugo Del Grande
Bandoneon, vecchio bambino… Con mio nonno e tanti altri, arrivasti nascosto nella pancia di quella nave. Poi qualcuno ti portò in un “piringundin” di La Boca e lì sei rimasto, piangendo note e solitudine. Iniziarono a notare la tua presenza, la tua voce… Qualcuno parlò di te a quel ragazzino, figlio di immigrati francesi … che gli amici chiamavano “El tigre”.
Fu amore “a primo suono”, pensasti di aver trovato con chi condividere l’enorme responsabilità di essere la voce di migliaia di notturni abitanti, di un lunfardo arrabal infreddolito per la nostalgia e tutte le miserie che affollavano la nuova vecchia Buenos Aires. Ma anche lui morì, in una notte umida di Montmartre, e ti abbandonò.
Una sera camminavamo per le strade di La Boca: Canaro, El Pacho, garrote Greco ed io. Dopo aver bevuto e riso per ore, stupidamente ubriachi, tornavamo a casa. Notai una piccola ombra appoggiata ad un muro, che respirava e ad ogni fiato gemeva teneramente.
– Pascual! Che fai? Dài, andiamo che è tardi.
– Tornate voi, io mi faccio l’ultima sigaretta guardando il riachuelo.
Mi avvicinai guardingo, ma deciso, i lamenti erano costanti. Già a pochi metri ti vidi appoggiato tremante sul muro scrostato e umido. La luce di un lampione a kerosene mi fece vedere il tu viso, le mille rughe del tuo mantice sgonfiato , una targa di ottone diceva che eri stato abbandonato sotto il portico di un convento di suore.
Mi guardasti dritto negli occhi, ebbi la certezza che avevi capito tutto di me, che già non potevo più cantare e che anch’io avevo l’anima segnata dal dolore.
Come una madre universale, mi chinai per darti calore. Ti alzai in un gesto deciso per farti capire che eri al sicuro e ti cullai sul mio petto mentre intonavo un tango che non avevo ancora scritto.
Ti portai a casa con me, quando arrivammo ti bastò uno sguardo per capire che non eri il solo ad essere stato abbandonato. I tuoi occhi mi guardarono con tenerezza, capii che volevi consolarmi, cantando un tango per me.
Ti misi sulle ginocchia e premendo i tuoi tasti ingialliti per l’oblio, la tua voce rauca graffiò la mia anima.
C’era così tanta tristezza nel tuo canto… Non riuscisti a consolarmi… Crebbe la mia malinconia e in un duetto mistico e tanguero, in quella “noche triste”, mio “bandoneon arrabalero”, il tango ci unì per sempre.
BANDONEON ARRABALERO (1928 musica: Juan Bautista Deambrogio ‘Bachicha’ parole: Pascual Contursi)
Bandoneon arrabalero (di periferia)
vecchio mantice sgonfio,
ti trovai come un “Pebete” (bambino)
che la madre abbandonò.
Sulla porta di un convento
senza intonaco nei muri,
sotto la luce di un lampioncino
che di sera ti illuminava.
Bandoneon, tu che vedi che sono triste
e non posso più cantare,
tu sai che porto nell’anima
il segno di un dolore.
Ti portai nella mia stanza,
ti cullai sul mio petto freddo,
anch’io abbandonato
mi trovavo nel “Bulin” (stanza).
Hai voluto consolarmi
con la tua voce rauca,
e le tue note addolorate
aumentarono mi “berretin” (falsa illusione)