Dalle origini del tango piano piano cambia la figura della donna: non è più la ragazza sfruttata, la ragazza ingannata, o la casta ragazzina che aspetta a casa l’amore impossibile, e non è nemmeno quella che lascia il suo fidanzato per il riccone di turno… diventa libera, si emancipa, decide con chi stare ma soprattutto con chi non stare.
Siamo alla fine degli anni Quaranta, il General Peron vince le elezioni, la moglie Evita crea il ramo femminile del partito peronista, siamo pronti:
Nel 1951 per la prima volta le donne votano in Argentina e occupano il 30% dei seggi parlamentari. In quel mondo maschile e maschilista in cambiamento, la donna del tango anticipa i tempi.
Un personaggio emblematico di questo movimento è senza dubbio Tita Merello;
Attrice, cantante, di umili origini, ribelle, agguerrita e ironica. Nel 1954, infischiandosene dei canoni di bellezza dell’epoca e riaffermando il suo diritto alla scelta ci canta questa milonga.
Si dice di me…
Si dice di me…
si dice che son brutta,
che cammino come un bullo,
che ho le gambe storte e che mi muovo
con aria da presuntuosa,
che assomiglio a Leguisamo,
il mio naso è appuntito,
la figura non mi aiuta
e la mia bocca è una buca delle lettere. […].
Si dicono molte cose,
ma se il pacchetto non interessa,
perché perdono la testa
occupandosi di me?
Se sono brutta, supponiamolo,
che di questo ancora non mi sono accorta.
Nell’amore, io so soltanto
che più di un tonto, ho lasciato a piedi.
Potranno dire, potranno chiacchierare
e mormorare, e piagnucolare,
ma la bruttezza che Dio mi ha dato
molte donne l’hanno invidiata.
E non diranno che mi sono montata la testa
perché sono sempre stata modesta…
Io sono così!
Parlando de donne, indipendenti che affrontano la vita con coraggio, quelle che non mollano mai, vorrei ricordare una poesia dello scrittore Cileno Luis Sepulveda (1949-2020)
Fra le sue opere possiamo famose possiamo citare: “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (1989)”, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (1996)…e tanti altre questi versi che vorrei dedicare a tutte VOI:
Le donne della mia generazione
Luis Sepulveda -1999
Le donne della mia generazione
aprirono i loro petali ribelli
non di rose, camelie, orchidee o altre piante
di salottini tristi, di casette borghesi,
di usanze stantie,
ma di erbe pellegrine al vento
Perché le donne della mia generazione fiorirono
per strada, in fabbrica
divennero filatrici di sogni,
e dentro il sindacato organizzarono l’amore
secondo i loro saggi criteri.
«Cioè» dissero le donne della mia generazione
«a ciascuno secondo i suoi bisogni
e la sua capacità di risposta.»
Come nella lotta colpo su colpo,
nell’amore bacio su bacio.
E nelle aule argentine, cilene e uruguaiane
seppero quel che dovevano sapere
per il sapere glorioso
delle donne della mia generazione.
Minigonne in fiore negli anni settanta,
le donne della mia generazione
non nascosero neanche le ombre delle loro gambe
che furono di Tania.
Erotizzando col più grande calibro
la dura strada dell’appuntamento con la morte.
Perché le donne della mia generazione
bevvero di gusto il vino dei vivi,
accorsero a ogni chiamata,
tennero acceso il fuoco
e furono dignità nella sconfitta.
Nelle caserme le chiamarono puttane
senza offenderle
perché venivano da un bosco di sinonimi allegri:
minas, grelas, parcantas, cabritas, minones,
gurisas, garotas, jevas, zipotas,
viejas, chavalas, senoritas.
Finché loro stesse non scrissero
la parola Compagna,
su ogni schiena
e sui muri di ogni albergo.
Perché le donne della mia generazione ci marchiarono addosso
col fuoco eterno delle loro unghie
la verità universale dei loro diritti.
Conobbero il carcere e i pestaggi,
Vissero in mille patrie e in nessuna,
Piansero i loro morti e i miei come fossero i loro,
Dettero calore al freddo, categoria al tempo e desideri alla stanchezza,
All’acqua dettero sapore e conservarono il fuoco
della loro invincibile memoria.
Le donne della mia generazione partorirono figli eterni,
li allattarono cantando Summertime,
fumarono marijuana nel riposo,
ballarono il meglio del vino
e bevvero le musiche più pure.
Perché le donne della mia generazione
ci insegnarono che la vita
non si offre a sorsi, compagni,
ma tutta d’un colpo e fino in fondo alle sue conseguenze.
Furono studentesse, minatrici, sindacaliste, operaie,
artigiane, attrici, guerrigliere,
persino madri e compagne
nei momenti liberi dalla Resistenza.
Perché le donne della mia generazione
rispettarono solo il limite dell’orizzonte
e mai e poi mai una frontiera.
Internazionaliste dell’affetto, brigatiste dell’amore,
miliziane della carezza, commissarie del dire ti amo.
Fra una battaglia e l’altra
le donne della mia generazione dettero tutto
e dissero che era appena sufficiente.
Le dichiararono vedove a Córdoba e a Tlatelolco.
Le vestirono di nero a Puerto Montt e a San Paolo.
E a Santiago, Buenos Aires e Montevideo
furono le uniche stelle
della lunga notte clandestina.
I loro capelli bianchi non sono capelli bianchi
ma un modo d’essere
per il compito che le attende.
Le rughe che spuntano sui loro visi
dicono: ho riso e pianto e tornerei a farlo.
Le donne della mia generazione
hanno preso qualche chilo di ragioni
che non se ne vanno,
si muovono un po’ più lente,
stanche di aspettarci alla meta.
Scrivono messaggi che incendiano la memoria.
Ricordano aromi proscritti e poi li cantano.
Ogni giorno inventano parole
e con quelle ci spingono,
Nominano le cose e ci arredano il mondo.
Scrivono verità sulla sabbia e le offrono al mare.
Ci convocano e ci danno alla luce sulla tavola apparecchiata.
Dicono pane, lavoro, giustizia, libertà,
e la prudenza dell’uomo si trasforma in vergogna.
Le donne della mia generazione sono come barricate:
riparano e incoraggiano, danno fiducia
e addolciscono il filo dell’ira.
Le donne della mia generazione
sono come un pugno chiuso
che protegge con violenza la tenerezza del mondo.
Le donne della mia generazione non gridano
perché hanno sconfitto il silenzio.
Se qualcosa ci segna, sono loro.
L’identità del secolo sono loro.
Loro, la fede restituita, il coraggio nascosto di un volantino,
il bacio segreto, il ritorno a tutti i diritti.
Un tango nella serena solitudine di un aeroporto,
una poesia di Gelman scritta su un tovagliolo,
Benedetti condiviso nel pianeta di un ombrello,
i nomi degli amici
conservati con spighe di lavanda.
Le lettere per cui baci il postino,
le mani che sorreggono il ritratto dei miei morti,
i semplici elementi dei giorni
che sgomentano il tiranno,
la complessa architettura dei sogni dei tuoi nipoti.
Sono tutto e sostengono tutto,
perché tutto arriva coi loro passi
e ci raggiunge e ci sorprende.
Non c’è solitudine dove guardano loro
né oblio finché cantano.
Intellettuali dell’istinto, istinto della ragione.
Prova di forza per il forte
e amorevole vitamina per il debole.
Ecco come sono, le uniche, irripetibili, indispensabili, sofferte, picchiate,
Donne negate ma invitte della mia generazione
(1) Parte dell’articolo estratto dal libro:
TANGO Canzoni di una vita. Canzoni di tante vite
Autore: Pablo Helman
Editore: marcoserratarantolaeditore