C’è un filo invisibile ma resistente che unisce le storie di rinascita. È fatto di ascolto, protezione, presenza. È il filo che il Centro Antiviolenza La Nara tesse dal 1997, anno in cui ha aperto le sue porte alle donne in fuga dalla violenza. Da allora, ha accompagnato quasi 4000 donne e accolto oltre 300 nuclei madre-figlio in spazi protetti, sicuri, umani.
Gestito da Alice Cooperativa Sociale, in convenzione con la Società della Salute Area Pratese, il Centro La Nara non è solo un luogo di emergenza: è un progetto sociale e politico, che nasce con l’obiettivo di contrastare ogni forma di violenza di genere – fisica, psicologica, sessuale, economica – e costruire un cambiamento reale, culturale e strutturale.
La violenza ha tante facce, ma spesso colpisce in silenzio, tra le mura di casa. Per questo, il lavoro del Centro si muove su più livelli, offrendo servizi fondamentali:
- una linea telefonica sempre attiva per la prima richiesta d’aiuto;
- colloqui individuali e sostegno psicologico per accompagnare la fuoriuscita dal ciclo della violenza;
- accoglienza in Casa Rifugio a indirizzo segreto per le situazioni più a rischio;
- Case di Seconda Accoglienza per continuare il percorso verso l’autonomia;
- sostegno alla genitorialità e attività dedicate ai figli, spesso vittime indirette ma profondamente segnate.
Il tratto distintivo di La Nara è l’approccio di continuità: un modello che prevede la presenza delle stesse operatrici sia nella Casa Rifugio che nella Seconda Accoglienza, così da non interrompere mai il filo della fiducia e del percorso personalizzato. Ogni donna, ogni madre, ogni bambino trova nel Centro un progetto costruito su misura, rispettoso dei tempi e dei bisogni, nel più totale anonimato e riservatezza.
Per capire meglio la portata di questo lavoro e il ruolo che realtà come La Nara stanno svolgendo nel promuovere un cambiamento sociale profondo, abbiamo intervistato la dottoressa Francesca Ranaldi :
Come nasce il suo impegno personale in questo campo? Cosa l’ha portata ad occuparsi di donne e bambini vittime di violenza?
Francesca Ranaldi : “È un percorso che si intreccia da sempre con la mia formazione e la mia vita. Ho studiato psicologia sociale, quindi con un’impronta già orientata verso il lavoro con le persone e con le comunità. A volte la vita ti porta in certe direzioni anche attraverso la casualità, ma una casualità che forse, in parte, scegliamo.
Così è stato per me: ho iniziato il mio cammino nella Cooperativa Alice lavorando con i minori e poi sono entrata nel gruppo che, nel 1997, ha avviato il Centro Antiviolenza La Nara. Da lì, questo è diventato il mio lavoro e, inevitabilmente, anche la mia vita. Sono quasi trent’anni che faccio parte di questo progetto, passando dal ruolo di operatrice d’ascolto fino a diventare responsabile.
È un mestiere che ha senso, che merita di essere fatto. Lavorare per la rinascita delle persone è qualcosa di straordinario. Per questo dico sempre che è molto più di un semplice lavoro. “
Lei usa spesso la parola “mestiere”, e insiste sull’importanza della professionalità. Può approfondire questo punto?
Francesca Ranaldi : “Penso che sia fondamentale. Questo lavoro richiede competenze, formazione, capacità di stare nella relazione con lucidità e con il giusto grado di distanza. Troppo coinvolgimento rischia di renderci meno efficaci. Dobbiamo sempre ricordare che siamo lì come professioniste.
La relazione che si crea tra le donne che chiedono aiuto e le operatrici può diventare uno spazio fondamentale di riscoperta, ma funziona se alla base c’è preparazione. Non basta essere donne, né basta essere empatiche o generose.
Spesso si tende a sottovalutare il nostro lavoro, come se fosse sufficiente avere “una buona disposizione d’animo” per aiutare. In realtà, bisogna conoscere a fondo il fenomeno, saperlo riconoscere, leggere correttamente le situazioni, valutare il rischio.
Ed è proprio la capacità di valutare il rischio, insieme alla donna, che può fare la differenza tra una situazione salvata o no. Questo è un lavoro che richiede rigore, aggiornamento continuo, consapevolezza, perché la responsabilità è altissima. “
“Dalla vostra esperienza, quali sono i segnali più difficili da riconoscere per una donna che sta vivendo una situazione di violenza? E come lavorate affinché quel primo passo – chiedere aiuto – diventi possibile?”
Francesca Ranaldi : “Il primo passo è davvero complesso. Per questo è essenziale un grande lavoro di sensibilizzazione e, soprattutto, una rete solida e formata.
Ogni nodo della rete – dalla sanità ai servizi sociali, dalle forze dell’ordine ai contesti educativi – deve essere in grado di riconoscere i segnali, accogliere la richiesta e inviare alla struttura giusta.
Quando aumentano le chiamate ai centri antiviolenza, non è un segnale negativo: è un segno che il fenomeno sta emergendo, che le donne trovano spazi dove poter parlare.
Quanto ai segnali, sono spesso invisibili proprio perché si manifestano dentro relazioni affettive, famigliari, intime. Le donne, molte volte, non riescono a vedere il pericolo: sono le ultime a immaginare che chi hanno accanto possa rappresentare una minaccia.
È quando iniziano a raccontare la loro storia, a metterla “fuori da sé”, che cominciano a vederla con altri occhi. La parola è la prima forma di cura. Il confronto con un’operatrice, con una professionista, consente di dare un nome a ciò che si vive, di riconoscere che non si è sole e che c’è una via d’uscita. “
“La violenza economica è spesso invisibile ma profondamente invalidante. Come si manifesta nelle storie delle donne che accogliete? E quali strumenti offrite per aiutarle a riconquistare la propria autonomia?”
Francesca Ranaldi : “La violenza economica è una delle espressioni più subdole del controllo. La libertà passa anche e soprattutto dall’autonomia economica: se posso scegliere per me e per i miei figli, posso decidere anche di uscire da una relazione violenta.
Il controllo si manifesta in tante forme: psicologica, con l’umiliazione e la svalutazione; fisica, con la paura e la sopraffazione; sessuale, con la violazione dell’intimità; economica, rendendo la donna dipendente e priva di risorse.
In questo contesto, riattivare un percorso di indipendenza è difficile, ma possibile.
Noi lavoriamo in sinergia con diversi enti attraverso il Progetto ATI, finanziato dal Fondo Sociale Europeo e promosso dalla Regione Toscana. Collaboriamo con il Centro per l’Impiego, che insieme a noi segue e accompagna le donne nei percorsi di reinserimento lavorativo: formazione, tirocini retribuiti, corsi di specializzazione.
Abbiamo anche un protocollo con la CNA, che facilita l’accesso a opportunità di lavoro o tirocinio presso aziende sensibili.
E grazie a un accordo con l’Ordine dei Commercialisti di Prato, le donne hanno a disposizione uno sportello gratuito per consulenze su situazioni di violenza economica, accesso a strumenti di autonomia, apertura di una partita IVA, rientro nel mondo del lavoro.
Tutti questi strumenti prevedono anche misure di conciliazione vita-lavoro, fondamentali per donne con figli e carichi familiari. Perché senza un’autonomia concreta, parlare di libertà resta solo un’illusione.”
La violenza si combatte anche insieme, come comunità.
Ed è per questo che progetti come la Milonga Solidale “ Il sogno di Alessandro Francini” diventano fondamentali: per sostenere realtà come La Nara, ma anche per accendere i riflettori sul tema, scardinarne i tabù, generare consapevolezza.
Una serata di tango può diventare il simbolo di un passo nuovo, un passo condiviso: non solo sul ritmo della musica, ma nel cammino di una società più giusta.
La consapevolezza nasce anche da un gesto semplice come scegliere di leggere e condividere. Per questo vi invitiamo a condividere questo articolo e approfondire i servizi offerti dalla struttura La Nara cliccando direttamente qui
Barbara Savonuzzi