Appunti in codice da Genova

PUBBLICATO IL 14 Gennaio 2015

 

Se sento milonga, porta bene. Sa di rito cabalistico, mi rendo conto, ma quando arrivo e ne risuonano le note, già l’umore si predispone al meglio. Il contesto era speciale: varcavo le porte del Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, nella mia amata Genova, per le serate di gala del Festivalbravo del dicembre scorso.

 

Per un attimo ero sopraffatta dall’emozione.

 

La magnificenza del Palazzo si univa al colpo d’occhio di una folla danzante, centinaia di volti sconosciuti arrivati da chissà dove, portati dal tango.

Non so se la nomea ligure di milonghe a circolo chiuso, con password per ballare e vagamente incestuose (dove l’ho letto?!?), sia veritiera, qualcosa di fondato c’è, ma che importa? Lì eravamo, una miriade di abbracci, ognuno dà del suo.

Il centro storico che porta dal NH Marina Hotel, sede del festival, al Palazzo Ducale, percorrendo i carruggi così veri cantati da De André, accoglieva i ballerini nel suo abbraccio, come fa un tango se abbandoni pregiudizi e reticenze.

Il programma era da grande evento, l’impegno organizzativo di certo altrettanto e prevedeva sei dj a rotazione, cinque coppie di artisti con esibizioni ogni sera che, a mio vedere, si “sfidavano” su concetti di tango, dove la formazione, il contesto nel quale si è cresciuti, il cambio generazionale e l’esperienza hanno differente peso.

 

Innumerevoli gli stages, i commenti erano positivi, ma io non vi ho preso parte. Sono un animale da pista in questi contesti, ballo e dormo il minimo indispensabile a recuperare l’energia per tornare a ballare (trenta ore? sì, possibile) e godermi il pathos della “fiesta”. Solleticata dall’inchiesta sui codigos che stava suscitando tanto riscontro sul blog, ero golosa di osservare tutto quanto fa tango: nel dubbio che anche l’abito faccia il monaco, ciascuno di noi cerca di indossare il suo migliore e lì eravamo a centinaia!

Di una cosa sono convinta: il tango avrà pure rigorosi codici, ma si fonda sulla palese violazione di uno fondamentale, quello prossemico, che regola la distanza fisica tra gli individui nella vita sociale e di relazione.  Di certo incidono aspetti culturali differenti, ma nel quotidiano entro i 0- 50 cm di distanza da noi, accettiamo comunemente e senza disagio solo familiari stretti e partner.

In soldoni, se uno sconosciuto provasse ad abbracciarci, gli molleremmo un ceffone o cercheremmo aiuto.

Ma se quello sconosciuto è in un festival di tango, accettiamo (quasi) incondizionatamente il suo abbraccio, neppure le differenze culturali si frappongono, nemmeno i miseri 50 cm di distanza si salvano.

Divertita a questa idea di fatale incoerenza del tango, guardavo i ballerini nel salone. Grande folla in adeguata pista non dovrebbe costituire problema, ma le coppie perdevano facilmente la bussola, La distanza di sicurezza e la ronda parevano concetti astratti Codigos off!

Eppure alla consapevolezza dello spazio siamo abituati, nessuno, guidando, accelera di fronte ad un muro o va in retromarcia in coda e nella folla sappiamo valutare lo spazio che ci è consentito.

Sarà una strana forma di rondafobia che ci spinge a riempire disordinatamente ogni buco di una grande pista? Bah! Nella milonga in hotel, certo più piccola, circolavano i medesimi ballerini, in senso proprio, erano gli stessi, ma anche antiorario e tenendo debita distanza: codigos on!

Dipende quindi in gran parte da fattori contingenti, il galateo della pista? Ed è illusorio pensare che sia sufficiente definirlo perché diventi comportamento perfettamente aderente? Se qualche benemerito trova un metodo, ben venga!

Quello che sembrava funzionare invece proprio benino, era l’invito a (mitica) mirada. Il festival non era role-balanced, nessun prestanome (** vedi articolo “Il prestanome tanguero e la disparità numerica ” ndr) era necessario, solo voglia e denari per entrare. Le donne erano quindi in consueta abbondanza, ma non si notavano file preoccupanti e preoccupate. Il parterre pareva rilassato.

Molti degli inviti avvenivano in modo del tutto spontaneo, incrociando un amico o lo “sconosciuto” di cui parlavo più sopra che, soddisfatto della buona intesa, tornava a proporre una tanda bis.

Tuttavia altrettanti scattavano, appunto, con mirada, persino a funambolica distanza! Codigos on! Un festival e la confusione inevitabile che si crea non si direbbero condizioni ideali, ma per qualche ragione che ignoro, forse la disposizione delle sedie o la luce giusta, ci si poteva mirare e lo si faceva.

appunti in codice da Genova

Mi sentivo del tutto codigo-involved! Bella responsabilità. Ma un abile tanguero, forestiero, dopo breve chiacchierata e decisione di ballare una milonga, al mio farfugliare qualcosa intorno alla mirada, rispondeva    serafico:” con me è inutile, sono miope”. Codigos off?!?? Insomma, care ballerine, se non reagiscono, non è per mancanza nostra, ma di diottrie. E milonga sia, che porta bene!

 

 

HA SCRITTO PER NOI #
Maria Cogorno

Maria Cogorno, alias Marilu, genovese, appartiene alla manovalanza tanguera da quasi cinque anni. A nulla sono serviti i buoni consigli degli amici salseros "lascia perdere, hanno certe facce, non ridono mai". Testarda, una sera è andata a curiosare e la prima marca è stata fatale. E' convinta che se suona una milonga quando entra nel locale, porti bene. E cosi viaggia, di milonga in milonga, per scoprire se il magico rito si ripete.

ARTICOLI CORRELATI #

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*